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Mimì “il determinista” e la valanga di finanziamenti

Le minacce a un commerciante per ottenere fatture false e la firma di ben 56 determine per ottenere fiumi di denaro. Che in parte sarebbero andati a Mimmo Lucano e agli altri anziché ai progetti per l’accoglienza a Riace

Riace come Addis Abeba. Popolata quasi esclusivamente da gente di colore. Migliaia e migliaia di persone che riempiono il paesino calabrese come una metropoli, senza che si riesca neppure a percorrere una delle piccole vie che dai “vichi” immette al centro del paese. E’ facile immaginarsela così leggendo l’ordinanza della Procura di Locri e in particolare il capo “G”, dove vengono elencate le determine firmate dal sindaco per ottenere finanziamenti dal ministero dell’Interno e dalla Prefettura (qui abbiamo già scritto del ruolo di alcuni funzionari del dicastero uscentee di quello giocato da Lucano e dalla sua cerchia). Non dieci o quindici, come le dimensioni del borgo e soprattutto la presenza di migranti suggerirebbero, ma 56. A Riace sulle carte c’era il pienone di migranti ma, nei fatti, quanti rimanevano davvero e si integravano con il territorio calabrese erano decine.

I contributi al Comune di Riace non bastavano mai, e per averli Lucano aveva messo mano alle carte quasi sessanta volte dall’11 agosto del 2014 al 31 dicembre 2017. I progetti di riferimento erano quelli destinati all’accoglienza fantasma, cioè gli Sprar e i Cas la cui gestione rappresentava una parte del “sistema illecito e spregiudicato” rilevato dal procuratore Luigi D’Alessio.

I fondi utilizzati per ristrutturare ed arredare casa. Occupazione di Lucano e di sei degli indagati sarebbe stata, inoltre, quella di usare i finanziamenti erogati dallo Stato per scopi del tutto diversi da quelli dell’accoglienza. Per l’acquisto, l’arredo e la ristrutturazione di tre case e un frantoio, il sindaco e gli altri avrebbero utilizzato 360.000 euro delle somme ottenute, oltre 13.000 per l’arredo e la ristrutturazione di un’altra abitazione. Avrebbero poi prelevato denaro contante dai conti delle associazioni senza giustificazione per non meno di 1.642.034 milioni di euro, senza contare i costosi concerti estivi organizzati dal Comune di Riace per 150.000 euro a erogazione. Anche il denaro destinato alla Protezione civile era considerato ghiotto, e andava in forza ai concerti o, di nuovo, ai prelievi senza giusta causa.

La concussione e le minacce ai danni di un esercente. Non solo questo. Gli inquirenti sono ancora al lavoro – dopo che i 18 mesi di indagini della Procura di Locri sono stati rigettati dal Gip Domenico Di Croce, a suo dire per manchevolezza di prove – sulle minacce che Mimmo Lucano e il presidente di una delle associazioni coinvolte avrebbero perpetrato ai danni del gestore di alcune attività commerciali del riacese. Lo stesso che già nel 2016 aveva, riguardo ai fatti contestati, sporto regolare denuncia.

Il ricatto dei pocket money e le fatture false. In pratica i due avrebbero “costretto, mediante reiterate minacce, di non adempiere agli obblighi già assunti dall’associazione di non rimborsare in valuta corrente i pagamenti in bonus fatti presso il suo esercizio”. Che tradotto significa: i migranti spendevano nel negozio-genere alimentare o in quello di detersivi e articoli per la persona del presunto vessato e quest’ultimo, pur di recuperare il denaro contante in cui i pocket money doveva essere scambiato, era pronto a fare il gioco di Lucano e del suo compare. Che significava “predisporre e consegnare fatture per operazioni inesistenti, riguardanti la vendita di detersivi ed altro per un valore di 5.000 euro”.