Su Riace e su Mimmo Lucano se ne dicono tante, ma il borgo Reggino lo conoscono solo i calabresi e chi ci è stato. Noi ci siamo andati di persona. Dedichiamo questo Zenit a chi parla dalla scrivania e la vera anima di un paese devastato non la coglierà mai
Riace è un paese fantasma. In tv, sui giornali, lo vedi come la fucina delle idee. Movimento, rabbia, anche. In paese invece c’è vergogna. La percepisci che corre sottile, sottopelle, nelle tapparelle serrate e negli sguardi degli anziani che si interrogano sulle facce nuove. Nelle risposte sottovoce dei commercianti. Là Mimmo non è il sindaco dei migranti. Lo chiamano “U Curdu” o “l’Africanu”, e per i calabresi non è un apprezzamento. Mimmo è quello che ogni sera, prima dei domiciliari, andava a mangiare al ristorante di Riace alta, o quello che ha ricoperto di allori (“forse per amore vero”, dicono alcuni), l’etiope Lemlem, che in paese è quasi temuta. Niente disgrazie, niente tragedie. Lemlem oggi veste Prada, e nel panificio dove doveva andare a lavorare per cento euro non ha fatto neanche un giorno. E’ una dei pochi ospiti (sei per essere puntigliosi) della città che incontriamo dopo una permanenza di sette ore.
Mimmo, sembrerà strano, in paese qualcuno lo definisce addirittura “razzista“. “I migranti – raccontano – lo hanno picchiato più di una volta. Li tratta dall’alto in basso perché il suo carattere è questo: poco abituato al rispetto delle regole e delle persone”. Potrà deludere ma Riace è questo, mentre la percezione che i più ingenui potrebbero ricavarne è lontana anni luce dalla realtà. Riace dei laboratori dell’accoglienza sempre chiusi, Riace dei piccoli negozi chiusi. Questa Riace l’hanno sorpresa già due anni fa i funzionari del ministero dell’Interno.
Tra le case piccole del borgo piene di murales che fanno presagire una realtà inesistente, hanno trovato tante di quelle storture da riempirci 21 pagine. Le case deserte, fatiscenti o che ospitavano persone che non ne avevano diritto, i migranti che si lamentavano per i pocket money, l’assenza totale di rendicontazioni. I subappalti. Il “giro” di Mimmo: se stavi dentro il tuo negozio vendeva, sennò dovevi prepararti a periodi di magra. E poi la Procura di Locri e quel “ritratto” inedito (documentato da una denuncia) di Mimmo. Del sindaco che si toglieva la maschera e saliva in centro a minacciare un commerciante per avere delle fatture false. Realtà e finzione. Verità e costruzione cinematografica.
Oggi il re è nudo. Lo ha detto il ministero dell’Interno questa sera con una circolare, lo abbiamo scritto noi dando conto per la prima volta del documento ministeriale. Il modello Riace – può dispiacere – non c’è mai stato. E dopo quasi una decina di pezzi-inchiesta e pagine su pagine di documenti macinati ne siamo convinti anche noi, che della facciata di Lucano avevamo apprezzato la volontà di unire e non dividere. Ma quel modello non c’è mai stato. Non c’era quando si metteva la spazzatura sopra gli asinelli solo poco prima che venissero le troupe televisive per far comparire – di nuovo – un modello di gestione inesistente. Non c’è oggi, nel paese dei Bronzi che gli amici di Lucano chiamano “vecchi”. Riace è stata una bella e vasta operazione di comunicazione capillare, questo sì. Convincente, forse, allora. Deludente oggi, per chi ha creduto alla favola del sindaco dei migranti.