Tra i nomi degli indagati nell’ambito dell’operazione Xenia spunta anche quello del familiare del vicesindaco che difese l’operato di Mimmo Lucano. Per il Procuratore Permunian avrebbe utilizzato per sé derrate alimentari, emesso fatture false e documentato costi fittizi
C’è anche il padre del vicesindaco Giuseppe Gervasi (sopra, in un’immagine di Newz.it) tra gli indagati dell’operazione Xenia, che com’è noto ha portato ai domiciliari Domenico Lucano, per il quale è stato successivamente disposto l’allontanamento da Riace. Alberto Gervasi, nato a Riace il 27 febbraio del 1951, era tra quanti “annotavano l’acquisto di derrate alimentari non destinate agli immigrati e utilizzate per fini privati nelle rendicontazioni del Msna”, il sistema che gestisce i minori stranieri non accompagnati Era, in pratica, uno degli uomini della finta accoglienza che aveva Lucano come deux ed machina, e che permetteva di acquistare cibo che non andava agli ospiti, ma nelle disponibilità del padre del vicesindaco e di altri.
Gervasi, inoltre, stando al documento firmato dal procuratore Michele Permunian, dal 2016 al 2017 contribuiva assieme ad altri a rendicontare “costi falsi” che in realtà riguardavano “spese carburante, bonus, borse lavoro, fatture per operazioni inesistenti, prestazioni occasionali”. Per il padre del vicesindaco, tuttavia, non è stata disposta alcuna misura, così come per gli altri indagati. Eccezion fatta per la compagna di Mimmo Lucano, anch’essa allontanata da Riace ma attualmente domiciliata nella vicina Roccella Jonica. Merito del lavoro del gip Domenico Di Croce, che ha rigettato l’impianto impostato dalla Procura di Locri. Che ha, al netto di una decisione che presenta diversi lati inspiegabili, numeri importanti: 18 mesi di indagini, 147 pagine di ordinanza, quasi mille di relazione, centinaia di intercettazioni, 31 indagati, venti reati contestati e cinque richieste di ricorso.
Il vicesindaco di Riace Giuseppe Gervasi, figlio di Alberto, a metà ottobre ai microfoni di Radio Cusano Campus aveva difeso la bontà del modello Riace di cui, rileviamo in esclusiva, il padre ha fatto parte. “Quello che sta accadendo – aveva detto – è molto grave. Il paese è in ginocchio, i laboratori sono chiusi, le attività commerciali stanno venendo meno, la gente non lavora e gli immigrati rimasti hanno paura perché non sanno quale sarà il loro destino.” Le cose in città stavano cambiando, si stavano creando nuove opportunità per tutti grazie al modello Riace ma purtroppo tutto sta andando in fumo. Per onestà intellettuale non mi sento di scaricare la colpa sul Governo attuale. Non me la sento di dare la colpa a nessuno, avremmo anche noi commesso degli errori, anche io ne avrò commessi alcuni ma questo modello ha in sè una grande bontà. Bisogna riflettere di più e cercare di capire se il nostro modello possa essere adatto per le altre piccole realtà italiane”.